Scopri i segreti della Light Therapy per il benessere fisico e mentale
Esporsi alla luce solare nei primi minuti dopo l’alba diminuisce i disturbi stagionali dell'umore, può aiutare nel trattare la depressione e aiuta a ristabilire i normali cicli circadiani.
Esporsi alla luce solare nei primi minuti dopo l’alba diminuisce i disturbi stagionali dell'umore, può aiutare nel trattare la depressione e aiuta a ristabilire i normali cicli circadiani.
Non ci esponiamo abbastanza alla luce solare
Nel corso dell'ultimo secolo, il nostro lavoro si è trasferito dagli spazi aperti agli ambienti interni; attratti dalle tecnologia digitale e dal comfort dell'aria condizionata, passiamo all'interno di edifici anche i momenti ricreativi. Questo cambiamento ha portato le persone a trascorrere sempre più tempo in luoghi lontani dalla natura e all'aperto dove in realtà ci siamo evoluti.
La diminuzione del tempo trascorso all'aria aperta è stata accentuata dalle campagne di prevenzione del cancro della pelle che promuovono la riduzione dell'esposizione al sole. Tuttavia, mentre è ampiamente riconosciuto che i raggi UV sono la principale causa di cancro della pelle, emergono sempre più prove sui benefici per la salute legati all'esposizione solare. Inoltre, una diffusa carenza di vitamina D evidenzia un potenziale problema di salute pubblica derivante proprio da una mancanza di esposizione.
Questo scenario suggerisce la necessità di riconsiderare le attuali linee guida sulla salute pubblica al riguardo. Comunicare un equilibrio migliore tra i benefici e i rischi della luce solare sta diventando essenziale, specialmente per chi vive alle latitudini più elevate, dove i livelli ambientali di UVR sono relativamente bassi anche durante l'estate.
Negli ultimi dieci anni, le ricerche hanno evidenziato che la mancanza di esposizione solare è associata a circa 340.000 decessi annuali negli Stati Uniti e 480.000 in Europa. Inoltre, è emerso un incremento dell'incidenza di varie patologie, tra cui cancro al seno, cancro del colon-retto, ipertensione, malattie cardiovascolari, sindrome metabolica, sclerosi multipla, morbo di Alzheimer, autismo, asma, diabete di tipo 1 e miopia.
L'esposizione alla luce solare può avere molti effetti sulla salute umana ma la maggior parte delle ricerche fino ad oggi si è concentrata solo sugli effetti avversi, considerando la sintesi della vitamina D come l’unico vero beneficio.
Poiché la produzione di vitamina D dipende dall’esposizione solare ai raggi UVB, si ritiene comunemente che questa vitamina (che è di fatto un ormone) sia responsabile di tutti gli effetti benefici della luce solare. Più recentemente però ci si è resi conto della diversità dei mediatori cutanei rilasciati in risposta ai raggi UV. Infatti, nuovi meccanismi, che includono il rilascio di ossido nitrico dalla pelle e gli effetti diretti delle radiazioni ultraviolette sulle cellule del sangue periferico, sembrano essere altrettanto importanti per la prevenzione delle malattie sopracitate.
Sarebbe infatti opportuno che le persone che vivono al di fuori dei tropici si assicurino di esporre la propria pelle sufficientemente al sole.
Almeno per la vitamina D, le dosi UVR necessarie per la sua sintesi sono di molto inferiori rispetto a quelle che servono per promuovere le scottature solari, tanto più che il tempo di esposizione dovrebbe essere suggerito dall’indice UV locale facilmente disponibile online. Esporsi eccessivamente non procura alcun vantaggio poiché un complesso di reazioni fotochimiche limita la produzione di previtamina D che raggiunge il livello massimo in un tempo relativamente breve.
Per poi ridurre al minimo i danni derivanti da un'eccessiva esposizione al sole, è necessario prestare molta attenzione per evitare scottature e l'esposizione dovrebbe essere assicurata in modo incrementale per non più di 5-30 minuti al giorno (a seconda del tipo di pelle e dell'indice UV), con indumenti adatti alla stagione e con gli occhi chiusi o protetti da occhiali da sole che filtrano i raggi UV.
Benefici della Light Therapy
Come abbiamo visto nell'introduzione, la luce solare presenta numerosi benefici per il nostro organismo ma, a parte il discorso riguardante la vitamina D, esistono numerosi altri benefici che hanno principalmente a che fare con la diminuzione dei disturbi stagionali dell'umore, nel trattare la depressione e nel ristabilimento dei cicli circadiani.
Ma vediamoli più nel dettaglio.
Disturbi stagionali dell'umore
La terapia della luce ha avuto origine come trattamento iniziale per il disturbo affettivo stagionale (SAD), seguito rapidamente da un crescente interesse nella ricerca sugli effetti di questa terapia su altri disturbi dell'umore.
Nel 1982, Alfred J. Lewy e il suo team descrissero il primo caso di SAD, riguardante un paziente affetto da cicli stagionali di depressione e ipomania, il quale fu sottoposto a trattamento mediante illuminazione ambientale. Uno dei coautori, Norman E. Rosenthal, si dedicò allo studio degli impatti delle stagioni sull'umore dopo aver notato variazioni nel suo stato d'animo ed energia durante il trasferimento da Johannesburg, in Sud Africa, a New York, negli Stati Uniti.
Attualmente, il SAD è ufficialmente riconosciuto nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Per soddisfare i criteri diagnostici, la depressione deve manifestarsi in modo specifico durante un periodo dell'anno determinato (ad esempio l'inverno), con una completa remissione in un periodo diverso (ad esempio l'estate), e i pazienti devono aver sperimentato almeno due episodi nei due anni precedenti.
La teoria dello sfasamento circadiano sostiene che il ritmo circadiano endogeno si trovi fuori sincronia rispetto al ritmo circadiano ambientale e ciò comporterebbe un ritardo o un anticipo temporale negli individui. Si ritiene che questo spostamento possa essere corretto mediante la terapia della luce che agisce attraverso il nucleo soprachiasmatico (SCN) dell'ipotalamo.
Secondo l'ipotesi della sensibilità retinica alla luce, la retina mostra una minore reattività alla luce ambientale. Normalmente, la sensibilità della retina aumenta in risposta a condizioni di scarsa illuminazione per mantenere un'efficacia adeguata. Si suggerisce che tale regolazione non si verifichi nei pazienti affetti da SAD, il che potrebbe portare a livelli sottosoglia di input luminoso al cervello.
Il neurotrasmettitore serotonina è stato implicato nell'eziologia del SAD. Innanzitutto, il SAD è associato a sintomi di depressione atipica, come ipersonnia e desiderio di carboidrati, suggerendo una disfunzione serotoninergica. In secondo luogo, il trattamento con inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) risulta efficace nel gestire il SAD. Infine, uno studio post-mortem evidenzia una variazione stagionale nei livelli di serotonina nell'ipotalamo, con livelli più bassi durante l'inverno.
Prove emergenti suggeriscono che le variazioni genetiche, come i polimorfismi a singolo nucleotide nei geni orologio, siano coinvolte nell'eziologia del SAD, come indicato dalla prevalenza del SAD nelle popolazioni islandesi. Un'indagine su gemelli ha rivelato che gli effetti genetici rappresentavano il 29% della varianza nella stagionalità.
Oltre ai fattori biologici, si ipotizza che i fattori psicologici giochino un ruolo fondamentale nell'eziologia del SAD. Questa prospettiva suggerisce che la depressione sia innescata dall'interazione tra fattori di stress e vulnerabilità cognitiva alla depressione. Diversi modelli cognitivi sono stati proposti per spiegare i meccanismi sottostanti che portano alla depressione, tra cui atteggiamenti disfunzionali, uno stile di attribuzione negativo e la ruminazione. Studi trasversali indicano che i pazienti con SAD manifestano livelli più elevati di atteggiamenti disfunzionali rispetto agli individui sani così come atteggiamenti disfunzionali e stili di attribuzione negativi.
Altri fattori psicologici includono i meccanismi comportamentali come il disimpegno comportamentale (una bassa frequenza di rinforzo positivo contingente alla risposta o di eventi piacevoli). Secondo il modello comportamentale di Lewinsohn, questo meccanismo rappresenta una vulnerabilità nello sviluppo della depressione. Questa ipotesi non considera il disimpegno come un sintomo, ma come un meccanismo sottostante che contribuisce all'insorgenza o al peggioramento della depressione.
Per oltre due decenni, la terapia della luce intensa per il disturbo affettivo stagionale ha catturato l'attenzione di medici e clinici, guadagnandosi la fiducia crescente come potente approccio efficace e non farmaceutico. Ciò si è trasformato in una promettente frontiera nel trattamento della depressione non stagionale, inclusi disturbi unipolari e bipolari, ricadute stagionali della bulimia nervosa, e problematiche legate ai ritmi circadiani del sonno, solo per citarne alcuni.
La terapia della luce si è estesa così a fronteggiare sfide più ampie. La sua implementazione, sia per i pazienti ambulatoriali che per quelli ricoverati, è notevolmente agevole, sebbene richieda un'accurata personalizzazione del dosaggio e dell'orario di trattamento. Ciò che sorprende è il favorevole profilo degli effetti collaterali: una benvenuta alternativa rispetto all'uso di farmaci.
In caso ce ne fosse comunque bisogno, si è rivelata cruciale la sinergia con gli antidepressivi: la terapia della luce non è solo un'opzione indipendente, ma può anche accelerare il percorso di miglioramento e contribuire alla riduzione dei sintomi residui. In questo modo, emerge come un complemento alla farmacoterapia, aprendo la strada a un trattamento più completo e versatile.
Depressione
L'impatto positivo della terapia della luce nel trattamento del disturbo affettivo stagionale è stato ampiamente confermato da ricerche precedenti, come abbiamo appena esaminato. Tuttavia, va sottolineato che questa forma di terapia non si limiti solo ai casi stagionali, mostrando un effetto terapeutico statisticamente significativo, da lieve a moderato, nella riduzione dei sintomi depressivi. Sorprendentemente, la terapia della luce emerge quindi come una valida opzione clinica anche per affrontare la depressione non stagionale.
La depressione, una malattia mentale diffusa, si manifesta con una motivazione negativa e ridotta, minacciando seriamente la salute fisica e mentale di milioni di persone in tutto il mondo. Nonostante l'ampia disponibilità di farmaci antidepressivi, oltre il 50% dei pazienti non ottiene una risposta adeguata al trattamento mentre i tassi di ricaduta della depressione si attestano intorno al 50% nonostante l'efficacia evidenziata dagli antidepressivi e dalla psicoterapia. La limitata accessibilità e l'oneroso costo della psicoterapia rendono necessario trovare terapie alternative o complementari per affrontare questi sintomi.
I pazienti affetti da depressione non stagionale presentano costantemente sintomi legati a anomalie circadiane, come ritmi sonno-veglia irregolari e sbalzi d'umore circadiani. La terapia della luce, già efficace nel disturbo affettivo stagionale, si dimostra promettente anche in questi casi. Studi recenti suggeriscono che la terapia della luce raggiunge la massima efficacia quando applicata singolarmente al mattino, per meno di 60 minuti al giorno, nei pazienti ambulatoriali.
Inoltre, la terapia della luce si presenta come un valido coadiuvante agli antidepressivi tradizionali nei pazienti unipolari e al litio nei pazienti bipolari. La sua applicazione al mattino accelera e potenzia la risposta antidepressiva, estendendo i suoi benefici anche ai pazienti con depressione cronica di lunga data che presentano una scarsa risposta ai farmaci. Questo approccio offre un'alternativa preziosa per i pazienti che rifiutano o non tollerano i farmaci o in situazioni in cui questi sono controindicati, come nella depressione antepartum.
Recenti studi suggeriscono che la combinazione di Citalopram, un antidepressivo della classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), e la terapia della luce supera in efficacia Citalopram e il placebo nel trattamento della depressione maggiore. L'ottimizzazione dei tempi di somministrazione mostra come il trattamento con luce a bassa intensità possa significativamente potenziare gli effetti del farmaco, fornendo agli psichiatri clinici un'opzione di potenziamento efficace e priva di effetti collaterali.
Problemi del sonno e Ritmi circadiani
Il ciclo sonno-veglia è regolato dall'interazione dei processi circadiani e omeostatici endogeni. Il sistema circadiano fornisce informazioni temporali per la maggior parte dei ritmi fisiologici, compreso il ciclo del sonno e della veglia. Inoltre, è stato dimostrato che l’orologio circadiano centrale situato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo promuove la vigilanza durante il giorno. I disturbi del ritmo circadiano del sonno insorgono quando c'è un disallineamento tra i tempi dei ritmi circadiani endogeni e l'ambiente esterno o quando c'è una disfunzione proprio dell'orologio circadiano. I principali agenti sincronizzanti del sistema circadiano sono la luce e la melatonina.
La luce è l'agente più potente che influenza l'orologio circadiano. Le informazioni sul ciclo luce-buio vengono trasmesse dalla retina al SCN principalmente attraverso il tratto retinoipotalamico, un percorso neurale distinto dal sistema visivo. La tempistica dell’esposizione alla luce è cruciale e determina la sua capacità di effettuare cambiamenti nella tempistica dei ritmi circadiani. Secondo la curva di risposta di fase negli esseri umani, l’esposizione alla luce intensa al mattino presto (dopo il nadir del ritmo della temperatura corporea interna) induce avanzamenti di fase, mentre l’esposizione alla luce la sera (prima del nadir del ritmo della temperatura corporea interna) ritarda la fase dei ritmi circadiani.
Sebbene meno potente della luce intensa, la melatonina ha proprietà di sfasamento circadiano. I tempi del rilascio di melatonina dalla ghiandola pineale sono regolati dal SCN e la sua secrezione viene soppressa dall'esposizione alla luce intensa. Negli individui con un tipico programma sonno-veglia, i livelli di melatonina endogena iniziano ad aumentare circa 2 ore prima dell'inizio del sonno, e rimangono elevati durante le ore di sonno abituali.
Nei disturbi del sonno causati dal disallineamento dell’orologio circadiano rientrano le insonnie croniche associate ad un orologio endogeno che corre più lentamente o più velocemente del normale [sindrome della fase del sonno ritardata (DSPS) o avanzata (ASPS), o ciclo sonno-veglia irregolare], le insonnie periodiche dovute a disturbi della percezione della luce (non -sindrome sonno-veglia delle 24 ore e disturbi del sonno nei soggetti non vedenti) e insonnie temporanee dovute a circostanze sociali (jet lag e disturbi del sonno dovuti al lavoro a turni).
Poiché i principali agenti di sincronizzazione del sistema circadiano sono il ciclo luce/buio e la melatonina, l’esposizione temporizzata alla luce intensa e la somministrazione di melatonina sono state spesso utilizzate come trattamento di questi disturbi.
Esistono diverse caratteristiche del trattamento che potrebbero influenzarne gli effetti: il numero di giorni di trattamento, la durata giornaliera del trattamento, l’intensità e le caratteristiche spettrali della luce sembrano fattori importanti da tenere in considerazione. Un altro elemento da considerare è che una buona igiene del sonno e un orario di sonno regolare sono fattori importanti che possono influenzare l’efficacia del trattamento.
Altri studi
Si è valutato l'utilizzo della fototerapia quotidiana anche per trattare l'ipertensione lieve in quanto negli ultimi cinquant'anni sono state apprezzate variazioni stagionali significative della pressione arteriosa, dell'infarto miocardico, degli ictus e della mortalità cardiovascolare. Come abbiamo già accennato, le lunghezze d’onda UVB della luce solare supportano la sintesi della vitamina D che è essenziale per la salute umana. Ma la vitamina D è anche un indicatore dell’esposizione alla luce solare che può agire indipendentemente dalla vitamina stessa per abbassare la pressione arteriosa.
L’esposizione al sole è associata ad una riduzione della mortalità per tutte le cause e la riduzione della pressione arteriosa predice in modo lineare la riduzione degli eventi cardiovascolari e dei decessi.
Le riduzioni estive della pressione sanguigna si verificano nel contesto di un’esposizione continua alla luce solare a spettro completo (UVA e UVB). Per coloro che vivono in paesi ad alte latitudini, i raggi UV ambientali sono inadeguati a produrre un calo significativo della pressione arteriosa in inverno e gli indumenti indossati per proteggersi dal freddo limitano l’esposizione della pelle ai pochi raggi UV presenti.
La pressione sanguigna e la mortalità cardiovascolare sono inferiori in estate che in inverno, indipendentemente dalla vitamina D e solo in parte a causa dovuti al cambiamento di temperatura. Si è inoltre visto che una bassa dose di raggi UVA giornalieri su tutto il corpo per 2 settimane riduce la pressione clinica misurata entro 90 minuti dall'irradiazione.
Flussi più elevati di UVA, o esposizione alle lunghezze d'onda UVB, possono perciò spiegare la diminuzione della pressione arteriosa in estate.
Un ulteriore studio si è concentrato sull'effetto della luce sul processo ovulatorio con la misurazione concomitante di diversi ormoni per comprenderne il meccanismo. È chiaro che l’aumento del tasso di ovulazione in seguito all’esposizione alla luce intensa è una conseguenza della maturazione più rapida del follicolo. La maturazione del follicolo, a sua volta, è determinata dai complessi cambiamenti interconnessi nella secrezione degli ormoni ipofisi-ovarici. La base neuroanatomica per l'effetto della luce può includere i fotorecettori basati sulla melanopsina nell'occhio che trasmettono informazioni attraverso il tratto retinoipotalamico (separato dal nervo ottico) all'orologio biologico nel nucleo soprachiasmatico dell'ipotalamo. È probabile che esistano numerosi altri collegamenti dall'ipotalamo, ma il percorso verso la ghiandola pineale che secerne il neuroormone oscuro melatonina, è l'unico ben studiato.
La luce quindi può agire direttamente sull'asse ipotalamo-ipofisi-ovaio come potrebbe agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
L'esposizione mattutina alla luce intensa nella fase follicolare del ciclo mestruale stimola la secrezione degli ormoni riproduttivi ipofisari, promuove la crescita dei follicoli ovarici e aumenta i tassi di ovulazione. Questa terapia potrebbe aiutare a superare l’infertilità in alcuni casi specifici.
Aspetti pratici e Sicurezza della Light Therapy
La terapia della luce (LT o fototerapia) è un trattamento non farmacologico che prevede l'esposizione quotidiana alla luce intensa e viene generalmente somministrata con delle lampade luminose fluorescenti. Si ritiene che la terapia della luce funzioni stimolando le cellule gangliari retiniche specializzate e sensibili alla luce contenenti melanopsina, rilasciando glutammato nel nucleo soprachiasmatico che è considerato il pacemaker circadiano del cervello.
In generale, la terapia della luce, specialmente per chi come me la utilizza per stabilizzare l'umore e i ritmi circadiani, viene proposta a 10.000 lux con temperatura fredda. Io mi sottopongo per almeno un quarto d'ora al giorno la mattina poco dopo essermi svegliata. Intensità più basse sono efficaci ma richiedono molto più tempo di esposizione al giorno esattamente come quando ci si espone alle primi luci del sole: un quarto d'ora è sufficiente se il cielo è limpido se no i tempi di esposizione si dilatano fino a mezz'ora o più.
Esistono in commercio numerose lampade da grandi come un porta foto per esporre il viso a molto più grandi in grado irradiare buona parte del corpo.
Potrebbe essere necessario adattare la durata del trattamento, come il dosaggio di un farmaco antidepressivo, in base alle esigenze del singolo individuo, al periodo dell’anno e alla quantità di luce ambientale.
Sebbene qualcuno possa sperimentare un effetto benefico immediato della luce, la maggior parte dei pazienti che la utilizzano a scopo clinico impiega 2-4 giorni per registrare una risposta antidepressiva sostenuta.
I risultati suggeriscono che la terapia della luce è sicura per gli occhi in persone fisicamente sane. La sicurezza oculare della terapia della luce in persone con anomalie oculari preesistenti o aumentata fotosensibilità richiede però ulteriori studi. Tuttavia, le considerazioni teoriche non confermano controindicazioni relative alla sicurezza.
Conclusioni
A mio avviso, la scoperta che dosi giornaliere di esposizione alla luce (che sia solare o tramite l'utilizzo di lampade apposite) possono alleviare rapidamente e profondamente disturbi dell'umore, cognitivi e del sonno è strabiliante.
Abbiamo visto come la terapia della luce sia ampiamente considerata utile per i pazienti affetti da SAD e ci sono prove che potrebbe rivelarsi una forma di trattamento utile anche in persone con altri tipi di disturbi dell'umore e con disturbi del sonno.
La terapia della luce può inoltre essere utilizzata da sola o in combinazione con i farmaci e, come questi ultimi, può essere calibrata, sia per quanto riguarda il dosaggio (durata e intensità) che per i tempi di somministrazione.
Le controindicazioni legate alla terapia della luce sono poche o nulle e la sua compatibilità con i farmaci e altre modalità di trattamento psichiatrico è di buon auspicio per la sua introduzione nella pratica standard.
Spero che gli studi possano progredire ulteriormente.
Da quando mi sottopongo a questa terapia, mi sento molto più energica con una mente vigile e lucida durante il giorno e decisamente più rilassata e pronta a dormire la sera.
Che vi esponiate alla luce del sole o utilizziate una lampada, vi consiglio spassionatamente questa terapia. Anche se non avete particolari tipi di problemi, trovo che possa risultare comunque utile nel ristabilire i ritmi circadiani che, a causa dell'illuminazione artificiale, sono messi continuamente a dura prova.
See you soon! M.
Fonti
Acta Psychiatrica Scandinavica, “Light therapy: is it safe for the eyes?”
CNS Drugs, “Circadian Rhythm Sleep Disorders”
CNS Spectrums, **“Light therapy for seasonal and nonseasonal depression: efficacy, protocol, safety, and side effects”
Handbook of Clinical Neurology, “Chapter 4 - Light therapy for mood disorders”
Journal of Affective Disorders, “Dawn simulation vs. bright light in seasonal affective disorder: Treatment effects and subjective preference”
Journal of Clinical Sleep Medicine, “Therapeutics for Circadian Rhythm Sleep Disorders”
Journal of Human Hypertension, *“*The effect of daily UVA phototherapy for 2 weeks on clinic and 24-h blood pressure in individuals with mild hypertension”
MDPI-International Journal of Environmental Research and Public Health, **“Insufficient Sun Exposure Has Become a Real Public Health Problem”
PLoS Clinical Trials, “Stimulatory Effect of Morning Bright Light on Reproductive Hormones and Ovulation: Results of a Controlled Crossover Trial”
Psychiatry Research, “Light therapy in non-seasonal depression: An update meta-analysis”
Psychological Medicine, “Chronotherapeutics (light and wake therapy) in affective disorders”
Science Translational Medicine, “Spectral responses of the human circadian system depend on the irradiance and duration of exposure to light”
Sleep Medicine Reviews, “Evolving applications of light therapy”
Sleep Medicine Reviews, “The effects of light therapy on sleep problems: A systematic review and meta-analysis”
The Journal of Clinical Psychiatry, “Morning Light Treatment Hastens the Antidepressant Effect of Citalopram: A Placebo-Controlled Trial”
Un Lifestyle per vivere più sani e più a lungo
Fortunatamente, numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che un corretto e sano stile di vita possono abbassare notevolmente il rischio di sviluppare malattie. Si è compreso come l'alimentazione, l'esercizio fisico, lo stress e le interazioni sociali possano influenzare l'estensione della nostra vita e, perché no, migliorarla.
Si è compreso come l'alimentazione, l'esercizio fisico, lo stress e le interazioni sociali possano influenzare l'estensione della nostra vita e, perché no, migliorarla.
Da homo sapiens normopeso a homo sapiens obeso
Decisamente un salto evoluzionistico importante che ancora non è riportato sui libri di storia.
Quando ritroveranno i resti di una donna deceduta a cinquant'anni a causa dei trigliceridi troppo alti, allora ci troveremo di fronte a questa grande scoperta e alla nuova definizione tassonomica. O almeno credo.
Ripensando alla nostra moderna Fat Lucy, un po' mi vengono i brividi.
Come abbiamo fatto a ridurci così?
Come accidenti è possibile che da esseri umani abituati a camminare, correre, scappare, saltare, arrampicarsi per procurarsi il cibo e per scampare ai predatori, siamo diventati delle sagome informi spiaggiate sul divano il cui massimo sforzo consiste nell'attraversare la cucina, aprire la porta del frigorifero e abbuffarsi di cose che abbiamo comodamente comprato grazie all'ausilio dell'automobile che ci ha portati al supermercato? Nel tragitto non abbiamo neanche incontrato i tanto famigerati predatori da cui dovremmo scappare (eccezion fatta per la cassiera che ringhiava ad ogni scansione dei prodotti e che avrà avuto una brutta giornata; comunque nulla da cui non riusciremmo a divincolarci con poca fatica, insomma, niente di paragonabile alla tigre dai denti a sciabola).
Sembra che la questione nasca proprio da questo: la comodità.
Si stima che il primo problema sia stato quello di imparare a coltivare e riuscire ad allevare gli animali.
Grande errore: non dovendo più camminare e correre per procacciarci il cibo, la nostra attività fisica ha subito un primo drastico calo fino ad arrivare ai minimi storici dei nostri giorni.
Possiamo quindi dire che se l'obesità non è stata di certo un problema nei tempi antichi, ora lo è eccome.
La poca attività fisica a cui siamo andati incontro e i cibi processati che ingeriamo hanno fatto si che il nostro corpo stoccasse questa “energia positiva”, che non utilizziamo altrimenti, in depositi di grasso (specialmente di quello viscerale, il più pericoloso).
La conseguenza è stata l'origine di stati infiammatori cronici e variazioni ormonali che possono danneggiare numerosi organi come le arterie, il cervello, il cuore, il fegato, i muscoli e il pancreas.
Tutto ciò ha portato all'inasprirsi di malattie croniche come l'Alzheimer, l'arteriosclerosi, l'asma, il cancro, il diabete di tipo 2, la sindrome metabolica, le malattie renali, l'osteoporosi, gli infarti e la depressione.
L'obesità non è nient'altro che una malattia cronica dovuta all'abbondanza di cibo, specialmente quello ad alta intensità energetica (cioè molto calorico) che troviamo nei cibi processati che sono ricchi di zucchero, grassi saturi e poveri in fibra.
Purtroppo, l'obesità è cresciuta esponenzialmente negli ultimi settant'anni facendo aumentare i casi di malattie croniche come il diabete, malattie cardiovascolari e il cancro; nonostante, grazie al nostro sistema sanitario, si sia estesa, sempre negli ultimi decenni, anche l'aspettativa di vita delle persone.
La vera domanda dunque è questa: vale la pena vivere più a lungo ma malati?
Nessuno di noi vorrebbe vivere fino a cento anni per passarne da malato trenta.
E se invece potessimo viverne cento ma nelle migliori condizioni fisiche e mentali possibili?
Scommetto che la risposta sarebbe diversa.
Fortunatamente, numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che un corretto e sano stile di vita possono abbassare notevolmente il rischio di sviluppare queste malattie.
Si è compreso come l'alimentazione, l'esercizio fisico, lo stress e le interazioni sociali possano influenzare l'estensione della nostra vita e, perché no, migliorarla.
Quello che possiamo fare è cercare di cambiare rotta verso un lifestyle più sano (sempre che vogliamo vivere meglio più a lungo).
Un sano stile di vita come medicina preventiva
Quindi come scongiurare l'avvento di queste malattie?
Prevenire è sicuramente meglio che curare!
Direi che sono quattro le macro aree su cui possiamo intervenire:
Una sana alimentazione: ricorda che il cibo che mangi (e quanto ne mangi) può influire su fattori di rischio come il colesterolo, la pressione sanguigna, i livelli di glucosio nel sangue e il peso corporeo. Per cui limita i grassi saturi e trans, le carni rosse e processate, gli zuccheri aggiunti, le bevande zuccherate e il sale. Cerca di consumare cibi salutari come frutta, verdura, noci, cereali integrali, legumi, grassi “buoni”, omega 3, olio extravergine di oliva. Per mantenere un peso ottimale, unisci alla dieta dell'attività fisica così da tenere sotto controllo le calorie ingerite rispetto a quelle consumate.
Pratica dell'esercizio fisico regolare: si intende un'attività da svolgere con intensità da moderata a vigorosa per almeno 150 minuti a settimana o, meglio, per almeno 30 minuti al giorno. Muoviti tutti i giorni: qualcosa è meglio di nulla! Per cui tirati su dal divano e vai a far il giro del palazzo!
Una buona gestione dello stress: purtroppo è spesso lo stress che contribuisce a farci assumere tutti i comportamenti dannosi per la nostra salute: ci fa fumare di più (se già fumatori), mangiare di più e non ci fa essere fisicamente attivi. Lo stress può essere gestito grazie al regolare esercizio fisico, praticando la meditazione e passando del tempo con gli amici e la famiglia (se siete in buoni rapporti…).
Un corretto apporto di sonno: elemento troppo spesso sottovalutato. In realtà, riuscire ad avere una buona notte di sonno è di vitale importanza. La quantità e la qualità del sonno possono influenzare le tue abitudini alimentari, l'umore, la memoria e il funzionamento di ogni organo interno. Gli adulti dovrebbero dormire dalle 7 alle 9 ore a notte. Per riuscire ad aumentare la qualità del sonno, dovresti essere fisicamente attivo durante il giorno (e torniamo al punto 2…), stabilire una routine serale e tenere tutti i dispositivi elettronici fuori dalla camera da letto (si, dovrai comprare una sveglia analogica).
Dopo una lista di “cosa bisogna fare”, ecco che arriva la parte dolente con il “cosa bisogna smettere di fare”:
-Fumare: se fumi, smetti. Potrei veramente riassumere in una parola ciò che c'è da fare ma cercherò di spiegarne la motivazione.
Lo sapevi che per ogni settimana in cui fumi perdi un giorno di vita?
Proprio così. L'assunzione costante e prolungata di tabacco incide sulla durata media della vita: 20 sigarette al giorno riducono di circa 4,6 anni la vita media di un giovane che inizia a fumare a 25 anni.
E lo sai perché?
E' ben nota l'associazione tra fumo e tumore polmonare ma quello che non tutti conoscono è la correlazione con altri tumori come quelli del cavo orale e della gola, dell'esofago, del pancreas, del colon, della vescica, della prostata, del rene, del seno, delle ovaie e di alcune leucemie.
Fumare aumenta il rischio di avere malattie respiratorie neoplastiche ed è strettamente correlato alle malattie cardiovascolari.
Insomma, dati alla mano, un individuo che fuma per tutta la vita ha il 50% di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al fumo e la sua vita potrebbe non superare un’età compresa tra i 45 e i 54 anni.
Per cui torno a dire che, se fumi, sarebbe il caso di smettere.
-Bere alcol: carissim*, l'alcol è una sostanza psicoattiva che procura dipendenza.
Il suo utilizzo è causa di più di 200 malattie tra cui disordini mentali, dipendenza da alcol, cirrosi epatica, alcuni tipi di cancro e malattie cardiovascolari.
Eh si, perché bere fa salire la pressione del sangue, fa aumentare le cardiomiopatie, il rischio di infarto, di cancro e altre malattie. Può contribuire ad alzare i trigliceridi e a produrre battiti cardiaci irregolari.
Un eccessivo consumo può condurre all'obesità, all'alcolismo, al suicidio fino ai più “semplici” incidenti dove, il sabato sera, qualcuno perde purtroppo la vita.
Se non bevi, non iniziare! Non esiste una “dose sicura" nell'assunzione di alcol così come per il fumo di sigaretta. Se bevi, fa si che si tratti di un'occasione più unica che rara.
Ricordati che queste semplici abitudini salutari possono fare una grande differenza!
Secondo alcuni studi, le persone che seguono uno stile di vita sano vivono significativamente più a lungo di chi non lo osserva: ben 14 anni di vita per le donne e 12 per gli uomini (se seguono questo stile di vita già da quando hanno compiuto 50 anni).
E la sapete qual è la cosa incredibile (nel caso seguire tutte queste regole non faccia per voi)?
Sembra che basti una sola di queste sane abitudini per estendere l'aspettativa di vita di due anni sia per gli uomini che per le donne.
Per cui, cosa aspettate?!
La migliore medicina preventiva è nel nostro lifestyle!
See you soon! M.
Fonti
American Heart Association, “Lifestyle changes for heart attack prevention”
American Heart Association, “American Heart Association diet and lifestyle recommendations”
National Library of Medicine, “Healthy lifestyle and life expectancy free of cancer, cardiovascular disease, and type 2 diabetes: prospective cohort study”
Organizzazione Mondiale della Sanità, “Alcohol”
Psychiatria Danubina, “Lifestyle factors and mental health”
Salute Governo, “I danni del fumo”
Sarcopenia: Un nemico silenzioso che minaccia la salute degli anziani
Il termine sarcopenia deriva dal greco “sarx” ovvero “carne” e “penia” ovvero “perdita”. Infatti, la sarcopenia rappresenta la perdita di massa muscolare e, quindi, di forza soprattutto negli individui anziani. Delinea la principale causa di cadute e dell'incapacità di svolgere le normali attività nella vita quotidiana.
Il termine sarcopenia deriva dal greco “sarx” ovvero “carne” e “penia” ovvero “perdita”. Infatti, la sarcopenia rappresenta la perdita di massa muscolare e, quindi, di forza soprattutto negli individui anziani. Delinea la principale causa di cadute e dell'incapacità di svolgere le normali attività nella vita quotidiana.
Sarcopenia: Patologia da prevenire
E' purtroppo un dato di fatto che invecchiando la forza diminuisca e che i nostri corpi diventino sempre più vulnerabili alle malattie.
Il termine sarcopenia deriva dal greco “sarx” ovvero “carne” e “penia” ovvero “perdita”. Infatti, la sarcopenia rappresenta la perdita di massa muscolare e, quindi, di forza soprattutto negli individui anziani. Delinea la principale causa di cadute e dell'incapacità di svolgere le normali attività nella vita quotidiana.
La sarcopenia è caratterizzata da una diminuzione delle dimensioni del muscolo e della qualità del tessuto muscolare. Questa è caratterizzata dalla sostituzione delle fibre muscolari con grasso, da un aumento della fibrosi, da cambiamenti nel metabolismo muscolare, dallo stress ossidativo e dalla degenerazione della giunzione neuromuscolare. Ciò alla fine porta alla progressiva perdita della funzione muscolare e alla cosiddetta fragilità. Gli studi che esaminano i cambiamenti istologici nelle fibre muscolari rivelano che la sarcopenia colpisce prevalentemente le fibre muscolari di tipo II (a contrazione rapida), mentre le fibre di tipo I (a contrazione lenta) sono molto meno colpite. La dimensione delle fibre di tipo II può essere ridotta fino al 50%. Tuttavia, tali riduzioni sono solo moderate se paragonate alle riduzioni complessive della massa muscolare. Ciò solleva la possibilità che la sarcopenia rappresenti sia una riduzione del numero di fibre muscolari sia una riduzione delle dimensioni delle fibre stesse. Studi istologici che confrontano le sezioni trasversali muscolari degli anziani con quelli di individui più giovani rivelano almeno il 50% in meno di fibre di tipo I e di tipo II entro i novant'anni.
Con l’invecchiamento della popolazione globale, l’atrofia muscolare sta aumentando e, purtroppo, nonostante la sua importanza clinica, continua a non venire diagnosticata a causa della mancanza di veri e propri test diagnostici.
Fattori di rischio per la Sarcopenia
Come per tutte le malattie, alla base della sarcopenia possiamo trovare numerose concause.
Mancanza di esercizio fisico
La mancanza di esercizio fisico è considerato il principale fattore di rischio per la sarcopenia. Attorno ai cinquant'anni, si verifica un graduale declino nel numero di fibre muscolari. Questo declino è più pronunciato nelle persone che conducono uno stile di vita sedentario rispetto a coloro che sono fisicamente più attivi. L'inattività fisica contribuisce alla perdita di massa muscolare e alla diminuzione della forza. Pertanto, mantenere uno stile di vita attivo e svolgere regolarmente dell'esercizio fisico può contribuire a prevenire o ritardare il deterioramento muscolare legato all'età.
Squilibrio negli ormoni e nelle citochine
La sarcopenia è causata da diversi fattori, tra cui la diminuzione degli ormoni come l'ormone della crescita, il testosterone, l'ormone tiroideo e il fattore di crescita insulino-simile che portano alla perdita di massa e forza muscolare. La perdita muscolare estrema spesso deriva da una combinazione di diminuzione dei segnali anabolici ormonali e promozione di segnali catabolici mediati da citochine proinfiammatorie come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) e l'interleuchina-6 (IL-6). È stato infatti dimostrato che alti livelli sia di TNF-α che di IL-6 sono presenti nei muscoli scheletrici degli individui più anziani.
Sintesi e rigenerazione proteica
La sarcopenia è una condizione caratterizzata dalla progressiva perdita della capacità dell'organismo di sintetizzare le proteine, il che porta a una diminuzione della massa muscolare. Questo processo è spesso associato a un apporto calorico e di proteine insufficiente per sostenere una buona salute muscolare. In altre parole, quando l'organismo non riceve una quantità adeguata di calorie e proteine, la capacità di costruire e mantenere la massa muscolare viene compromessa.
Rimodellazione del gruppo motore
Un'altra caratteristica della sarcopenia correlata all'età è la riduzione delle cellule nervose motorie responsabili di inviare segnali dal cervello ai muscoli per avviare il movimento. Le cellule satellite, che sono piccole cellule mononucleate adiacenti alle fibre muscolari, vengono normalmente attivate in seguito a lesioni o esercizio fisico. In risposta a questi segnali, le cellule satellite si differenziano e si fondono nella fibra muscolare, contribuendo a mantenere la funzione muscolare. Un'ipotesi attuale è che la sarcopenia sia causata, almeno in parte, da un fallimento nell'attivazione delle cellule satellite.
Base evolutiva
Secondo le teorie evolutive, il corpo sarebbe incapace di mantenere la massa muscolare e la propria funzionalità a causa del naturale invecchiamento dei geni. Questa ipotesi suggerisce che i geni richiesti per la sopravvivenza nel tardo Paleolitico, e cioè adatti ad alti livelli di sforzo muscolare, non siano adeguati a uno stile di vita moderno caratterizzato da alti livelli di comportamento sedentario.
Sviluppo precoce
Numerosi studi hanno dimostrato che le prime influenze ambientali sulla crescita e sullo sviluppo possono avere conseguenze a lungo termine per la salute umana. Il basso peso alla nascita è spesso associato a una riduzione della massa muscolare e della forza nella vita della persona adulta. Un altro studio ha dimostrato che il basso peso alla nascita è addirittura associato a una significativa diminuzione del punteggio delle fibre muscolari.
Gestione della malattia
L’intervento precoce rimane la chiave per migliorare la salute delle persone affette da sarcopenia. Lo screening dei pazienti con compromissione della funzione fisica e delle attività della vita quotidiana (ADL-Activity of Daily Living) dovrebbe rappresentare la routine nelle visite sanitarie delle persone anziane. Come abbiamo visto, possiamo dire che due risultano essere i principali fattori associati all'insorgenza di questa malattia cioè la malnutrizione e la scarsa attività fisica.
La gestione della sarcopenia si è quindi concentrata principalmente sulla terapia fisica per il rafforzamento muscolare considerato anche il fatto che non esistono attualmente terapie farmacologie approvate.
Allenamento
Allenamento di resistenza
Il metodo di terapia fisica più studiato è l'allenamento di resistenza progressiva in cui le persone si esercitano contro un carico crescente. Essendo un trattamento consolidato per l'atrofia muscolare, è noto che l'allenamento di resistenza riduce la durata della degenza ospedaliera e aumenta l'area della sezione trasversale muscolare e la forza di presa negli adulti più anziani.
Molti studi hanno dimostrato che la forza isocinetica nella popolazione anziana viene migliorata dall’allenamento di resistenza. Un’ampia meta-analisi che ha studiato la relazione tra esercizio fisico e forza muscolare in una popolazione di mezza età (40-65 anni) ha dimostrato che l’allenamento di resistenza ha un impatto maggiore sulla forza di presa rispetto ad altri tipi di esercizio fisico.
Un’altra modalità plausibile di allenamento di resistenza è l’esercizio eccentrico. In questo tipo di esercizio il muscolo si contrae mentre si allunga (ad esempio durante la discesa delle scale). Questa forma di lavoro muscolare ha il vantaggio di aumentare la forza muscolare con un consumo energetico ridotto ed è adatta a soggetti con energia limitata a causa delle richieste di alta potenza e bassa energia.
Allenamento aerobico
L’esercizio aerobico del muscolo scheletrico induce la produzione di adenosina trifosfato (ATP) nei mitocondri e migliora la capacità aerobica, il controllo metabolico e la funzione cardiovascolare. Contribuisce inoltre all'attivazione della biogenesi e della dinamica mitocondriale e al ripristino del metabolismo mitocondriale, diminuisce l'espressione genica catabolica e aumenta la sintesi delle proteine muscolari.
Vari studi hanno dimostrato che l’esercizio aerobico controlla l’espressione della miostatina nell’mRNA. Dato che la sarcopenia legata all’età è associata a questi fattori molecolari, l’esercizio aerobico tende ad avere un effetto protettivo. Nel complesso, l’esercizio aerobico tende a migliorare i problemi associati ai mitocondri e a migliorare l’ipertrofia e la forza muscolare.
High-Intensity Interval Training (HIIT)
Le modalità di allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) forniscono cicli intensi alternati a periodi di intensità ridotta per i tempi di recupero, offrendo benefici fisiologici in meno tempo rispetto ai regimi di esercizio convenzionali.
Nutrizione
Oltre all'esercizio fisico, esistono numerose prove del fatto che l'alimentazione possa influire sullo sviluppo della sarcopenia. Infatti, l’assunzione di cibo diminuisce di circa il 25% tra i 40 e i 70 anni di età, e la situazione peggiora poiché è spesso combinato con un modello dietetico monotono e povero che può portare a un apporto di nutrienti insufficiente.
Numerose prove mostrano una forte correlazione tra l’assunzione di proteine e la massa magra per cui l’apporto proteico complessivo raccomandato dovrebbe essere aumentato con l'aumentare dell'età. Nell’invecchiamento, infatti, risulta essere necessaria una dose maggiore di proteine per massimizzare la sintesi proteica muscolare: una dose di 1,2-1,6 g per kg di peso corporeo sarebbe considerata ottimale.
Sono proprio le proteine di alta qualità provenienti anche dai cibi integrali, ma anche gli integratori alimentari che forniscono proteine isolate, come quelle del siero del latte, caseina, uova, carne e soia, aumentano l’accumulo di proteine postprandiali e inducono la sintesi proteica muscolare.
Integrazione
Per quanto riguarda le proteine, abbiamo già detto come queste forniscano gli aminoacidi necessari per la sintesi muscolare. Esistono però anche prove che il solo amminoacido leucina possa attivare le vie di segnalazione che portano alla sintesi proteica. Per quanto riguarda quest'ultima, i risultati sugli anziani mostrano che è necessaria un’elevata percentuale di leucina in una miscela di aminoacidi essenziali per invertire la sintesi proteica muscolare non ottimale.
Recentemente è stato evidenziato anche il ruolo della vitamina D nella fisiopatologia di diverse malattie tra cui la sarcopenia. E' stato infatti suggerito che bassi livelli di vitamina D riducano la massa muscolare scheletrica. A tal proposito è stato segnalato come il consumo di pesce tenda a ritardare l’insorgenza della sarcopenia, proprio a causa del suo alto contenuto di proteine, vitamina D ed E, magnesio e omega-3.
In uno studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE, sono stati somministrati e testati degli integratori (che includevano proteine del siero di latte, creatina, vitamina D, calcio e olio di pesce) su due gruppi di uomini di età pari o superiore ai 70 anni. Un gruppo ha assunto un integratore alimentare a base di proteine e multi-integratore per sei settimane senza seguire un regime di allenamento fisico, mentre l’altro gruppo ha assunto un placebo. Dopo sei settimane, i soggetti hanno continuato a prendere l'integratore (e il placebo) intraprendendo anche un programma di allenamento progressivo di 12 settimane composto da una allenamento di resistenza e uno a intervalli ad alta intensità (HIIT). Incredibilmente i risultati hanno mostrato miglioramenti nel deterioramento della salute muscolare e della forza complessiva dei partecipanti sia prima che dopo il regime di allenamento: durante le prime sei settimane, l’integratore ha portato ad un aumento di 700 grammi di massa magra, la stessa quantità di muscolo che questi uomini avrebbero normalmente perso in un anno. In più, quando combinato con l'esercizio fisico, i partecipanti hanno notato un maggiore aumento della forza, soprattutto se confrontati con le loro controparti che assumevano il placebo.
Conclusioni
La sarcopenia è un problema sempre più diffuso a livello globale. Colpisce tra il 5% e il 13% delle persone tra i 60 e i 70 anni e fino al 50% delle persone oltre gli 80 anni. Nel 2000 erano stimati 600 milioni di persone di età ≥ 60 anni nel mondo ma si prevede che questa cifra raggiungerà 1,2 miliardi nel 2025 e 2 miliardi nel 2050. Con una stima conservativa, la sarcopenia colpirà più di 200 milioni di persone nei prossimi 40 anni. Come abbiamo visto, la diagnosi di sarcopenia può essere complessa. L'esercizio rimane il trattamento migliore ma può essere difficile da attuare per varie ragioni. Il ruolo della nutrizione nella prevenzione e nel trattamento della sarcopenia è meno chiaro rispetto all'allenamento fisico. Tuttavia, è consigliabile assicurare un adeguato consumo di proteine e compensare eventuali carenze di nutrienti e vitamine.
See you soon! M.
Fonti
American Heart Association, “How to avoid frailty and stay strong as you age”
Clinics in Geriatric Medicine, “Pathogenesis and Management of Sarcopenia”
International Osteoporosis Foundation, “Sarcopenia (loss of muscle) which affects up to 20 percent of European seniors, may increase 63 percent by 2045”
McMaster University, “New supplement can repair, rejuvenate muscles in older adults”
MDPI-Nutrients, “Sarcopenia: A Contemporary Health Problem among Older Adult Populations”
Longevità e benessere: come mantenersi in forma per vivere bene e più a lungo
Andando avanti con l'età, il numero di cellule e organi che “trasportano difetti” nell'informazione tendono ad aumentare, ovvero, il processo di invecchiamento è dovuto a numerosi danni molecolari che avvengono nel nostro organismo.
Andando avanti con l'età, il numero di cellule e organi che “trasportano difetti” nell'informazione tendono ad aumentare, ovvero, il processo di invecchiamento è dovuto a numerosi danni molecolari che avvengono nel nostro organismo.
Vivere sani più a lungo
Capire come le persone possano vivere più a lungo e in salute sta diventando un argomento cruciale in quanto la popolazione sta invecchiando a un passo inesorabile.
L'argomento mi incuriosisce particolarmente poiché tutti invecchieremo e, sinceramente, vorrei farlo nel migliore dei modi possibili.
La ricerca ha potuto scoprire come la salute in età avanzata sia strettamente legata alla salute dell'infanzia: approssimativamente il 55% dei bambini e l'80% degli adolescenti con obesità rimarranno obesi in età adulta e, purtroppo, il legame tra obesità e i diversi aspetti della salute sta diventando sempre più evidente e si prefigura che il problema che affronterà la popolazione sarà sia l'eccesso di peso che il declino cognitivo.
Solo questione di genetica?
Le basi della longevità umana e dell'invecchiamento in salute rimangono tra le principali sfide della biologia e della medicina moderna.
Mentre determinati stile di vita e vari fattori ambientali possono massimizzare la nostra capacità nel prevenire malattie e la salute nella popolazione, gli studi genetici sull'invecchiamento umano si basano sull'aspettativa di vita (età alla morte), la longevità (una lunga vita), la longevità eccezionale e l'invecchiamento in salute. Gli studi sulla longevità infatti si riferiscono a individui viventi spesso centenari o più.
Ma perché si invecchia?
Andando avanti con l'età, il numero di cellule e organi che “trasportano difetti” nell'informazione tendono ad aumentare, ovvero, il processo di invecchiamento è dovuto a numerosi danni molecolari che avvengono nel nostro organismo.
Ciò comporta che le prestazioni e le funzioni dei tessuti e degli organi vengano compromesse cosicché il sistema di auto-organizzazione sia distrutto e perda la capacità di adattarsi all'ambiente: il corpo non risponde più come dovrebbe agli stimoli.
Tutto ciò porta alla cosiddetta fragilità, ad eventuali disabilità, a malattie legate all'invecchiamento per poi finire con la morte stessa.
Solo i meccanismi di manutenzione del nostro organismo sono in grado di rallentare (se non invertire) i danni subiti. Questi meccanismi sono regolati positivamente o negativamente da vari fattori come la genetica, l'epigenetica, il sesso e il genere, lo status socioeconomico ed educativo, il tipo di alimentazione e l'attività fisica, la gestione dello stress e il supporto sociale. Solo le diverse combinazioni di questi fattori possono evitare, ritardare o controllare le malattie legate all’invecchiamento.
Si ritiene infatti che per le prime otto decadi di vita un lifestyle corretto sia il fattore determinante per la salute e la durata della vita, ben più importante e decisivo della genetica stessa.
L’epigenetica, cioè l’interfaccia tra il nostro genoma e l’ambiente, sta emergendo come un fattore chiave per la longevità.
Lifestyle, la medicina gratuita
Anche prima dell’avvento della medicina moderna, era noto che uno stile di vita sano fosse in grado di migliorare la qualità della vita e prolungarne l'aspettativa.
Nel nostro mondo, l'elevato consumo di alcol, droghe e tabacco sono solo alcune delle variabili di uno stile di vita noto per avere conseguenze tossiche sull'organismo e per aumentare notevolmente il rischio di malattie gravi.
Si presta crescente attenzione anche all'alimentazione, che può essere fattore scatenante di numerose malattie quando include eccessivi grassi, zucchero raffinato e additivi alimentari artificiali.
Un altro punto importante da sottolineare è il concetto di stile di vita attivo, ovvero uno stile di vita sano richiede una quantità sufficiente di attività fisica. In The Lancet Health Longevity, Jun Wang e colleghi propongono come stile di vita attivo, uno che comprenda attività fisiche, mentali e sociali. Questa definizione è un importante promemoria del fatto che le connessioni sociali rivestono un ruolo vitale nel mantenimento delle funzioni cerebrali.
Diverse variabili però possono influenzare la nostra longevità.
La somma dell’esposizione a diversi xenobiotici e fattori di stress ambientale nella vita di tutti i giorni e a lavoro, noto come exposoma, influisce sia sulla qualità della vita che sulla longevità.
La salute quindi è il risultato di complesse interazioni tra geni e ambiente, in cui i geni sono modulati dall’ambiente che influenza epigeneticamente la loro espressione.
Possiamo dunque asserire che una dieta più sana e altri fattori legati allo stile di vita (ad esempio, non fumare, consumare moderatamente alcol, fare attività fisica, avere una buona rete sociale e mantenere una sana salute mentale) uniti a un ambiente socio-economico favorevole possono interagire con i geni e influenzare la salute e quindi la longevità di una persona.
Le cosiddette zone blu sparse in tutto il globo, in cui le popolazioni sono note per avere un’alta prevalenza di centenari, hanno tutte alcune cose in comune: una sana alimentazione, un'attività fisica continua (sia per svago che per necessità di svolgere attività nella vita quotidiana), una forte rete sociale basata su valori culturali e abitudini salutari come la meditazione e avere uno scopo nella vita.
Chi dorme non piglia pesci ma vive più a lungo
Sebbene la maggior parte delle persone sia consapevole dell’importanza del sonno per i bambini e gli adolescenti, viene data meno importanza al fatto che il sonno è essenziale anche per il mantenimento della salute e la prevenzione delle malattie negli adulti. I dati ci mostrano gli esiti negativi associati ai disturbi del sonno, come l'aumento del rischio di ictus, la compromissione della funzione immunitaria, l'elevato rischio di obesità e l'aumento del rischio di suicidio negli adolescenti così come negli anziani.
Gli ostacoli che impediscono agli adulti di raggiungere il minimo di ore di sonno raccomandate (dalle 7 alle 9 ore a notte, secondo l'American Academy of Sleep Medicine) sono spesso di natura psicosociale, poiché oggi le persone tendono a rinunciare a parte delle ore di sonno per impegnarsi in attività o svolgere compiti che non potrebbero completare durante il giorno; altre importanti fonti di interruzione del sonno sono patologiche, come l'insonnia, i disturbi respiratori del sonno e i disturbi del movimento che ostacolano la sua qualità. Sebbene la prevalenza del sonno breve sia, secondo l'US Centers for Disease Control and Prevention, più alta negli adulti di età compresa tra i 25 e i 44 anni, anche gli anziani tendono a dormire poco poiché la produzione fisiologica della melatonina, l’ormone cruciale che induce il sonno, sembra diminuire con l’età.
Studi ripetuti hanno dimostrato i benefici derivanti dall'aumento dell'esposizione alla luce solare, dall'esercizio fisico e dalla terapia cognitivo comportamentale per migliorare la qualità del sonno, in particolare negli adulti di mezza età e negli anziani.
Ci vuole un fisico bestiale…o non così tanto
L'esercizio fisico aumenta l'ossidazione del grasso nel muscolo scheletrico e il potenziale antiossidante, stimola gli adattamenti metabolici muscolo scheletrici e determina miglioramenti benefici nel sistema cardiovascolare. Inoltre, l'esercizio fisico regolare migliora la qualità del sonno e aumenta la produzione di fattori neurotrofici derivati dal cervello riducendo la morte neuronale e migliorando le prestazioni cognitive.
La letteratura scientifica sottolinea anche gli effetti positivi dell’esercizio fisico sulle capacità motorie e sulla longevità di persone incredibilmente anziane come i centenari.
Mangia poco e sano
Uno dei principali studiosi dell'alimentazione legata alla longevità è sicuramente il Dott. Longo.
In uno studio, il professore e la coautrice Rozalyn Anderson dell'Università del Wisconsin descrivono la "dieta della longevità", un approccio multi-pilastro basato su studi di vari aspetti della dieta, dalla composizione del cibo e l'apporto calorico alla durata e frequenza dei periodi di digiuno.
L’analisi ha incluso diete popolari come la restrizione delle calorie totali, la dieta chetogenica ad alto contenuto di grassi e a basso contenuto di carboidrati, le diete vegetariane e vegane e la dieta mediterranea. Da questi studi, sembra che le caratteristiche chiave della dieta ottimale possano essere riassunte in un apporto da moderato ad elevato di carboidrati da fonti non raffinate, proteine basse ma sufficienti da fonti in gran parte vegetali e grassi di origine vegetale sufficienti a fornire circa il 30% del fabbisogno energetico. Idealmente, i pasti giornalieri dovrebbero avvenire tutti entro una finestra di 11-12 ore, consentendo un periodo giornaliero di digiuno, mentre un ciclo di 5 giorni di digiuno o dieta mima digiuno ogni 3-4 mesi può aiutare a ridurre la resistenza all'insulina, regolare la pressione sanguigna e altri fattori di rischio.
Dunque, l'alimentazione per la longevità può essere riassunta dal dott. Longo in: molti legumi, cereali integrali e verdure; un po' di pesce; niente carne rossa o carne lavorata e una quantità molto bassa di carne bianca; pochi zuccheri e cereali raffinati; buoni livelli di noci e olio d'oliva e un po' di cioccolato fondente.
Infatti, la restrizione calorica e una corretta alimentazione sembrano aiutare a prolungare la durata della vita e ritardare l’insorgenza di disturbi legati all’età. La ricerca ha dimostrato che la restrizione calorica modifica i livelli degli ormoni e dei metaboliti lipidici alterando il metabolismo energetico.
Diete a basso contenuto calorico con restrizione di carboidrati sono stati associate alla prevenzione e, più recentemente, all’inversione del diabete.
Non trascurabile risulta essere il miglioramento della funzione delle lipoproteine ad alta densità (HDL) tra gli individui ad alto rischio cardiovascolare che seguono una dieta mediterranea a basso contenuto di carboidrati. Esistono anche prove evidenti che la dieta mediterranea abbia effetti clinicamente e statisticamente significativi sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari. Il consumo frequente di frutta e verdura è inversamente correlato alla mortalità per tutte le cause.
Conclusioni
Tutti noi abbiamo il desiderio di rimanere in forma e autonomi il più a lungo possibile e per far si che ciò accada non dobbiamo abbandonarci all'idea che tutto sia determinato dalla nostra genetica ma, anzi, dobbiamo rimboccarci le maniche e cercare di prevenire l'invecchiamento: le armi a nostra disposizione sono seguire uno stile di vita che comprenda una sana alimentazione, dell'esercizio fisico regolare, una buona qualità e quantità di sonno, un'adeguata gestione dello stress e una rete di relazioni che ci mantengano fisicamente e mentalmente attivi.
Una soluzione semplice, gratuita e alla portata di tutti!
See you soon! M.
Fonti
Frontiers in Psychology, “The Association Between Regular Physical Exercise, Sleep Patterns, Fasting, and Autophagy for Healthy Longevity and Well-Being: A Narrative Review”
Human Genetics, “Genetics of healthy aging and longevity”
International Journal Molecular Sciences, “How Important Are Genes to Achieve Longevity?”
MDPI-Nutrients, “How a low-calorie diet could extend lifespan”
MDPI-Nutrients, “The Role of Healthy Diet and Lifestyle in Centenarians”
The Lancet, “Healthy longevity begins with child and adolescent health”
The Lancet, “Human rights for healthy longevity”
The Lancet, “Sleeping our way to better health and longevity”
The Lancet, “Crucial factors affecting longevity”
University of Southern California, “Review of research in animals and humans to identify how nutrition affects aging and healthy lifespan”
La pratica della Mindfulness: un viaggio verso la consapevolezza
Il concetto di mindfulness affonda le sue radici nelle tradizioni contemplative buddiste. Il termine mindfulness deriva dalla parola sati che in lingua Pali significa “consapevolezza” o “attenzione presente e attiva”.
Il concetto di mindfulness affonda le sue radici nelle tradizioni contemplative buddiste. Il termine mindfulness deriva dalla parola sati che in lingua Pali significa “consapevolezza” o “attenzione presente e attiva”.
Cosa si intende per Mindfulness?
Il concetto di mindfulness affonda le sue radici nelle tradizioni contemplative buddiste. Il termine mindfulness deriva dalla parola sati che in lingua Pali significa “consapevolezza” o “attenzione presente e attiva”.
La mindfulness occidentale, che scorpora la pratica dalle credenze mistiche e religiose, vede il padre nella figura di Jon Kabat-Zinn, biologo e scrittore.
La mindfulness è la pratica del prestare attenzione che ci aiuta a vivere consapevolmente nel presente. Spesso, nelle nostre vite quotidiane, tendiamo a distrarci involontariamente, ad agire in modo automatico o a evitare pensieri ed emozioni scomode. Uno studio ha mostrato che la nostra mente tende a vagare per circa il 47% del tempo, il che può portarci a rimuginare su sentimenti ed emozioni che possono condurci all'infelicità. Al contrario, quando si è consapevoli, si tende a vivere con un maggiore senso di benessere la vita di tutti i giorni.
La consapevolezza ha due componenti principali che rientrano nella sua definizione.
In primo luogo, si concentra sull'essere pienamente spettatore dell'esperienza presente. Questa può riguardare sensazioni fisiche, emozioni, immagini mentali, pensieri interni o percezioni esterne come i suoni ad esempio.
In secondo luogo, la maggior parte delle definizioni moderne di consapevolezza sottolineano l'importanza di adottare un atteggiamento aperto e di accettazione nei confronti dell'esperienza stessa.
Questo significa osservare ciò che ci accade con curiosità, senza giudizio e senza reazioni impulsive. È importante notare che “accettazione” non significa rassegnazione passiva di fronte alle situazioni difficili, ma piuttosto un invito ad affrontare queste esperienze con apertura mentale.
La mindfulness può essere praticata in qualsiasi momento della giornata e la pratica può essere di tipo informale o formale.
La pratica informale non segue regole prestabilite, consiste nel prendere coscienza della vita di ogni giorno prestando attenzione alle attività quotidiane che svolgiamo (camminare, lavare i piatti, mangiare, fare la doccia, ecc.).
Personalmente è la pratica che preferisco e cerco di attuarla anche in momenti come stendere i panni.
La pratica formale richiede di ritagliarsi del tempo ogni giorno da dedicare alla meditazione in silenzio, prestando attenzione alla respirazione, ai sensi, alle emozioni, ecc.
Cerco di praticarla tutte le mattine, ormai fa parte della mia “morning routine” e non potrei più farne a meno.
Anche se tutti possono sviluppare la vera consapevolezza, all'inizio può sembrare difficile e può richiedere uno sforzo di concentrazione notevole. Ad esempio, esercizi formali, come il focalizzarsi sul proprio respiro per diversi minuti, possono risultare impegnativi. Questo perché siamo spesso abituati a lasciare vagare la mente, a giudicarci severamente, a rimuginare sul passato o a preoccuparci del futuro. Nei primi stadi di apprendimento della meditazione consapevole, dobbiamo deliberatamente sforzarci di mantenere l'attenzione sul momento presente e impedire alla mente di vagare. Questo sforzo può essere tranquillamente paragonato a una sorta di “allenamento mentale” che può migliorare il nostro livello di intuizione, di apprendimento e di autoregolamentazione.
I principi fondamentali della Mindfulness
I pilastri della mindfulness sono sette:
Non giudizio, attuare la consapevolezza significa non giudicare ciò che sta accadendo ma osservarlo solamente.
Pazienza, poiché è importante comprendere e accettare che tutto avviene a suo tempo.
Mente del principiante, è necessario cercare di vedere la realtà sotto una luce nuova e non ancorarci ai pregiudizi legati al passato.
Fiducia, poiché è indispensabile fidarsi di noi stessi e delle nostre sensazioni.
Accettazione, che non significa assumere un atteggiamento passivo nei confronti della vita, piuttosto accettare le cose come sono nel momento presente e non resistere a ciò che è e non possiamo cambiare.
Non cercare risultati, la meditazione non deve avere un obiettivo finale, anzi, consiste nel “non fare” ed essere esclusivamente presenti nel momento.
Lasciare andare, cioè il “non attaccamento”, rappresenta una forma di accettazione delle cose come sono senza attaccarci ai pensieri, alle emozioni e alle situazioni.
Effetti della Mindfulness
Salute Fisica
Molto dell'interesse nell'ambito della mindfulness legata alla salute fisica è stato guidato dalla convinzione che gli esercizi di meditazione possano contribuire a migliorare la conoscenza del proprio corpo, promuovere il rilassamento e aiutare a gestire lo stress, il che può favorire la riduzione nel rischio di contrazione di numerose malattie.
Per esempio, primi studi non randomizzati hanno dimostrato che la mindfulness è efficace nel ridurre i sintomi del dolore cronico e la dipendenza da antidolorifici tra i pazienti che ne soffrono.
Il sistema immunitario è fondamentale per la protezione del corpo da infezioni e malattie. Lo stress cronico può danneggiarne il funzionamento, compromettendone la capacità di rispondere alle infezioni e di combattere malattie. Inoltre, lo stress è stato associato a un aumento di marker di infiammazione nel sangue, come la proteina C-reattiva e l'interleuchina 6, che sono collegate a una maggiore probabilità di contrazione di malattie e mortalità. Gli esercizi di mindfulness possono influenzare positivamente questi aspetti immunitari legati allo stress. Per esempio, ricerche iniziali hanno dimostrato che la mindfulness può ridurre i marker infiammatori nel sangue, come la proteina C-reattiva, e la risposta infiammatoria della pelle indotta dallo stress.
Sappiamo inoltre che lo stress può avere anche una cattiva influenza sulla riuscita di determinati comportamenti salutaricome un buon sonno, l'esercizio fisico, smettere di fumare o attenersi a una dieta, aspetti del lifestyle che possono avere un impatto positivo o negativo sulla nostra salute. Alcune prove preliminari indicano che la mindfulness può aiutare i fumatori ad abbandonare il vizio, migliorare le abitudini alimentari delle persone e avere un impatto positivo sulla qualità del sonno.
Salute Mentale
C’è un grande interesse tra gli psicologi clinici nell’utilizzo della mindfulness per trattare un’ampia gamma di malattie legate alla salute mentale. In effetti, alcuni scienziati hanno ipotizzato che questa pratica di consapevolezza sia da considerarsi come un approccio terapeutico di terza ondata, che possa cioè seguire gli approcci terapeutici comportamentali e cognitivo-comportamentali. Questo interesse tra i medici è nato in parte per la convinzione che gli interventi di midfulness possano aiutare le persone a notare e regolare i pensieri disadattivi, le risposte emotive e i comportamenti automatici che sono alla base dei problemi mentali.
Alcune delle prove più evidenti in letteratura mostrano che il programma di mindfulness è efficace nel ridurre le ricadute di depressione durante i periodi di follow-up nei soggetti a rischio.
La mindfulness potrebbe aiutare anche le persone con disturbi dell’umore che attualmente sperimentano alti livelli di ansia o sintomi depressivi. La pratica mira a favorire una consapevolezza aperta e di accettazione dei propri pensieri e sentimenti, compresi i pensieri e le esperienze corporee che si verificano quando ci si sente molto ansiosi o depressi. È stato ipotizzato che rivolgere l'attenzione verso queste esperienze aiuti a ridurre l'evitamento esperienziale, l'autogiudizio e la rimuginazione che sono spesso innescati da depressione acuta e ansia.
Tutti gli esseri umani prima o poi hanno sperimentato il desiderio e hanno sentito la forte spinta ad agire con comportamenti dannosi come mangiare troppo o fare uso di sostanze che possono creare dipendenza. Questi comportamenti a volte possono uscire dal nostro controllo fino a diventare delle vere e proprie dipendenze (ad esempio, l'abuso di alcol, il gioco d'azzardo, il fumo). Quando queste interferiscono con la vita quotidiana o causano danni a sé stessi o agli altri, la mindfulness si è rivelata utile per affrontare il desiderio, la dipendenza e i disturbi da dipendenza.
Meccanismi Psicologici legati alla Mindfulness
La mindfulness promuove la capacità di osservare in modo più obiettivo la propria esperienza momento per momento, e questa mentalità decentrata (descritta anche come consapevolezza metacognitiva o non attaccamento) può fungere da importante meccanismo psicologico di cambiamento. Il decentramento implica l'osservazione delle esperienze interne da una posizione in terza persona più obiettiva che può aiutare a prendere decisioni in modo più efficace. Processi psicologici sono l'accettazione e le capacità di regolazione delle emozioni, l'esposizione e la riduzione dei pensieri di rimuginazione o il cambiamento di aspetti del proprio concetto di sé (ad esempio, calmare il sé egoico). Infine, la pratica formale quotidiana della meditazione consapevole è considerata un vero e proprio meccanismo comportamentale di cambiamento per gli effetti che ne derivano.
Meccanismi Neurologici legati alla Mindfulness
Gli effetti della mindfulness sono certamente mediati dal cervello e alcuni studi iniziali hanno utilizzato immagini strutturali e funzionali per valutarne i meccanismi neurobiologici. È stato dimostrato che le pratiche formali di meditazione consapevole (ad esempio, la meditazione del respiro) attivano una rete distribuita di regioni cerebrali, tra cui l'insula, il putamen, la corteccia somatosensoriale e porzioni della corteccia cingolata anteriore e della corteccia prefrontale. Alcune prove iniziali indicano anche che la pratica della mindfulness potrebbe alterare strutturalmente il cervello, aumentando la densità della materia grigia nell’ippocampo. Nonostante questi progressi, si sa poco sui meccanismi neurali che collegano gli interventi della pratica ai risultati. La mindfulness pare agire come un cuscinetto contro lo stress in quanto la meditazione sembrerebbe aumentare l’attività e la connettività funzionale delle regioni corticali prefrontali che sono fondamentali per la regolazione dello stress e al contempo diminuire l’attività e la connettività funzionale nelle regioni neurali che sono alla base della reazione primordiale di attacco o fuga.
Conclusioni
Riassumendo, praticare la mindfulness attraverso la meditazione può aiutarti a gestire lo stress, dormire meglio e a sentirti più in equilibrio e connesso a te stesso. La mindfulness è una pratica che, attraverso la respirazione, una contemplazione silenziosa o la concentrazione prolungata su qualcosa come un suono, un'immagine o una parte del corpo, può aiutarti a lasciare andare lo stress e quindi a sentirti più calmo e presente.
Purtroppo, lo stress rilascia cortisolo e adrenalina che accelera la respirazione e aumenta la frequenza cardiaca assieme alla pressione sanguigna a causa della reazione denominata di “lotta o fuga” che ci spinge all'azione quando ci troviamo di fronte a un pericolo, che sia reale (quando dobbiamo scappare da un pericolo ad esempio) o meno (la giornata è andata storta).
La mindfulness può aiutarci a gestire lo stress e quindi a vivere una vita più sana più a lungo.
See you soon! M.
Fonti
American Heart Association, “Meditation to Boost Health and Well-Being”
Annual Review of Psychology, “Mindfulness Interventions”
University of Pennsylvania, “Mindfulness motivates people to make healthier choices”
Sonno e benessere: l'importanza di una notte riposante
La risposta breve è che il sonno è di fondamentale importanza per il mantenimento della nostra salute e, quindi, per il raggiungimento della tanto agognata longevità. Infatti, numerosi studi tendono a sottolineare come un sonno di scarsa qualità o insufficiente può mettere a repentaglio la nostra salute e, di conseguenza, abbreviare la durata della vita.
Il sonno è di fondamentale importanza per il mantenimento della nostra salute e, quindi, per il raggiungimento della tanto agognata longevità. Infatti, numerosi studi tendono a sottolineare come un sonno di scarsa qualità o insufficiente può mettere a repentaglio la nostra salute e, di conseguenza, abbreviare la durata della vita.
Perché abbiamo bisogno di dormire (bene)?
La risposta breve è che il sonno è di fondamentale importanza per il mantenimento della nostra salute e, quindi, per il raggiungimento della tanto agognata longevità.
Infatti, numerosi studi tendono a sottolineare come un sonno di scarsa qualità o insufficiente (ahimè chi non ha problemi ad addormentarsi o a riuscire a dormire senza interruzioni!) può mettere a repentaglio la nostra salute e, di conseguenza, abbreviare la durata della vita.
Il sonno comprende determinati fattori critici: la regolarità, la soddisfazione, la vigilanza, la tempistica, l'efficienza e la durata.
Ovviamente, nonostante il bisogno di dormire rimanga stabile per tutta la vita di un essere umano, la capacità di ottenere un sonno adeguato non è scontata e, soprattutto, diminuisce con l'avanzare dell'età. Questa perdita di qualità e quantità di sonno però potrebbe non essere legata direttamente all'invecchiamento quanto da altri fattori ad esso collegati come determinate condizioni mediche, una cattiva salute fisica, un aumento dell'uso di farmaci e disturbi legati ai ritmi circadiani. E' stato infatti riscontrato che, con l'aumentare dell'età, la durata del sonno, la sua efficienza, il sonno a onde lente e il sonno REM diminuiscono facendo si che negli anziani l'insonnia sia il disturbo predominante.
Numerosi fattori tra cui quelli sociali, ambientali, comportamentali e persino la genetica possono influenzare il sonno. Per nostra fortuna, numerosi di questi fattori (ad esempio i livelli di attività fisica, l'alimentazione o l'utilizzo dei social media) possono essere modificati.
Una cattiva alimentazione è spesso associata a una durata del sonno più breve, a una latenza più lunga e a una maggiore frequenza di disturbi del sonno.
Un adeguato esercizio fisico è strettamente legato a una buona qualità del sonno. Come numerosi studi indicano, l'aumento di attività fisica negli anziani ne migliora notevolmente la qualità del sonno e protegge dall'insonnia.
Oggigiorno, il fattore che incide maggiormente sul sonno è sicuramente l'esposizione ai media, che siano essi rappresentati dalla TV o dagli stessi social media. Un utilizzo costante di questi mezzi è associato a una qualità del sonno peggiore e a una durata dello stesso più breve. Addirittura c'è differenza tra leggere un libro su carta stampata o tramite tablet: leggere un libro stampato comporta un aumento della sonnolenza prima di coricarsi rispetto al suo gemello su tablet sottolineando le conseguenze già note della tecnologia che utilizza la luce blu su vigilanza, sonno e ritmi circadiani.
Secondo l'American Academy of Sleep Medicine le cause che impediscono agli adulti di raggiungere la quantità e la qualità di sonno consigliato sono spesso psicosociali, ovvero noi tutti tendiamo a rinunciare alle ore di sonno per svolgere attività o compiti che non abbiamo tempo di portare a termine durante le nostre giornate così piene e caotiche.
Secondo gli studi, la maggior parte degli adulti ha bisogno di dormire tra le 7 e le 9 ore a notte (mi raccomando, non giorno, ma notte per assecondare i nostri ritmi circadiani). Al contrario, bambini e adolescenti avrebbero bisogno di dormire ancora di più nonostante studi dimostrino che uno studente medio delle scuole superiori dorma solo 6.5 ore a notte mentre circa il 20% non arriva neanche 5!
Rischi che si corrono dormendo poco e male
Alcune persone asserisco convinte che riescono a sopravvivere dormendo 5 ore o meno a notte, che russare alla fine è innocuo (poveretti solo chi dorme con voi) e che bere alcol aiuta ad addormentarsi.
Niente di più sbagliato.
Si tratta solo di cattive abitudini che si ripercuoteranno sia sulla salute del privato cittadino che su quella pubblica.
Il sonno è essenziale per il mantenimento della salute e la prevenzione delle malattie negli adulti anche se la cosa non viene presa minimamente in considerazione nonostante i dati dimostrino il contrario.
I disturbi del sonno possono infatti portare a un aumento delle seguenti patologie:
malattia di Alzheimer
malattie cardiovascolari
declino cognitivo e demenza
depressione
diabete
elevata pressione sanguigna
livelli alti di glucosio nel sangue
innalzamento dei livelli di colesterolo
infiammazioni
squilibrio ormonale
obesità
Ma anche aumento del rischio di suicidio negli adolescenti e negli adulti più anziani, aumento del rischio di incidenti e l'aumento dell'appetito e dello stress.
Benefici del dormire bene
Numerosi studi hanno dimostrato i benefici derivanti dall'aumento all'esposizione della luce diurna, dell'esercizio fisico e della terapia cognitivo-comportamentale.
Migliorare la qualità del proprio sonno permette di:
guarire e riparare le cellule, i tessuti e i vasi sanguigni danneggiati
migliorare le funzioni cerebrali tra cui la vigilanza, il processo decisionale, la concentrazione, l'apprendimento, la memoria, il ragionamento e la risoluzione dei problemi
aumentare la creatività e la produttività
migliorare l'umore e i livelli di energia
migliorare la capacità del corpo di costruire i muscoli
velocizzare i riflessi
diminuire i rischi di malattie croniche
rafforzare il sistema immunitario
Ma come riuscire a dormire meglio?
Abbiamo già sottolineato come sarebbe indispensabile avere dalle 7 alle 9 ore di sonno profondo tutte le notti ma la quotidianità con gli impegni e lo stress che spesso ne deriva possono tenerci svegli fino a tardi. Possiamo comunque cercare di prendere provvedimenti e migliorare così la qualità del nostro sonno!
Vi consiglio di creare e seguire una routine della buonanotte che possa aiutarti a dormire meglio e svegliarti sentendoti veramente riposato e pronto ad affrontare una nuova giornata pieno di energia!
Ecco a voi una serie di consigli che potreste seguire:
imposta una sveglia per andare a dormire. Si, hai capito bene. Per andare a dormire. E' facile perdersi tra i social media, la nostra serie preferita su Netflix e così andare a letto tardi. Sapendo a che ora dobbiamo svegliarci, dobbiamo programmare l'ora a cui andare a dormire di conseguenza.
prepara in anticipo le cose che ti serviranno il giorno seguente: borse, zaini, abiti da indossare (io personalmente preparo anche l'outfit per praticare esercizio fisico così da non avere scuse e allenarmi tranquillamente la mattina). Questo ti permetterà di svegliarti un po' più tardi e iniziare la giornata col piede giusto.
cerca di rilassarti e abbandonare lo stress accumulato durante la giornata: è dimostrato che praticare la mindfulness riduce l'ansia, l'insonnia e migliora la qualità del sonno. C'è chi pratica il journaling, ovvero scrivere un diario. Personalmente preferisco dedicare dieci minuti ad ascoltare il mio respiro.
prova a leggere prima di andare a letto: come ho già accennato, leggere un buon libro (su carta stampata o su dispositivi appositi che non utilizzano la luce blu) può aiutarci ad addormentarci prima e meglio.
E ora arriva il tasto dolente che meriterebbe un approfondimento a parte e cioè quello dell'esposizione alle luci artificiali e, di conseguenza, dell'utilizzo del cellulare.
Nel nostro corpo esistono un sistema nervoso simpatico e uno parasimpatico che regolano la nostra fisiologia durante il giorno e la notte; il simpatico si occupa della veglia mentre il parasimpatico prende il comando la notte trasmettendo calma e ristoro a tutto il corpo.
Cosa può compromettere questo ciclo? L'esposizione alla luce artificiale. Quest'ultima purtroppo è molto comune, causata sia dai dispositivi che utilizziamo (cellulari, TV, ecc.) che da fonti esterne alla casa (lo sa bene chi vive in zone urbane). Per cui, se hai bisogno di tenere accesa una luce cerca di renderla il più fioca possibile e vicina al pavimento; luci ambrate/rosse stimolano molto meno il cervello; l'utilizzo di maschere per gli occhi potrebbe rivelarsi molto utile nel caso non si possa controllare la luce esterna.
Per quanto riguarda il cellulare questo andrebbe bandito dalla camera da letto. Nel caso foste costretti ad utilizzarlo, o proprio non riusciste a farne a meno, cercate di utilizzare un filtro rosso che annulli la luce blu causa della compromissione della produzione di melatonina indispensabile per addormentarsi. Disattivate le notifiche, mettete il cellulare sulla modalità “non disturbare” e cercate di non prenderlo in mano fino al giorno dopo (e possibilmente molto dopo esservi svegliati).
Per cui, ora che sai quali sono le attività che possono agevolare il sonno, comincia a perseguirne qualcuna e prova a vedere che effetto ti faranno…i risultati non tarderanno ad arrivare!
See you soon! M.
Fonti
American Heart Association, “A good night's sleep may make it easier to stick to exercise and diet goals”
American Heart Association, “How to Sleep Better with a Bedtime Routine”
American Heart Association, “Irregular sleep could negatively impact heart health”
American Heart Association, “Sleep Better With Healthy Lifestyle Habits”
Harvard Health Publishing, “How much sleep do you actually need?”
MDPI-International Journal of Environmental Research and Public Health, “Lifestyle Factors and Sleep Health across the Lifespan”
Northwestern University, “Close the blinds during sleep to protect your health”
NYU School of Medicine, “Common sleep myths compromise good sleep and health”
The Lancet, “Good sleep and health”
The Lancet, “Sleeping our way to better health and longevity”
Il Potere dell'Epigenetica: come il nostro Stile di Vita Influenza i nostri Geni
Oggi, a differenza del passato, sappiamo che l'espressione genica, ovvero il modo e la frequenza in cui l'informazione contenuta nei geni stessi viene letta e tradotta in proteine, è influenzata da meccanismi epigenetici e che quindi non è determinata esclusivamente dalla loro sequenza e posizione nel DNA. Il termine epigenetica deriva dal greco epi- (επί- sopra) –genetica (genetikos – γενετικός-, che deriva da genesis – γένεσις-, "origine") e sta a indicare quindi qualcosa che si colloca al di sopra dei nostri geni.
Il termine epigenetica deriva dal greco epi- (επί- sopra) –genetica (genetikos – γενετικός-, che deriva da genesis – γένεσις-, "origine") e sta a indicare quindi qualcosa che si colloca al di sopra dei nostri geni.
Al di sopra della Genetica
Oggi, a differenza del passato, sappiamo che l'espressione genica, ovvero il modo e la frequenza in cui l'informazione contenuta nei geni stessi viene letta e tradotta in proteine, è influenzata da meccanismi epigenetici e che quindi non è determinata esclusivamente dalla loro sequenza e posizione nel DNA.
Il termine epigenetica deriva dal greco epi- (επί- sopra) –genetica (genetikos – γενετικός-, che deriva da genesis – γένεσις-, "origine") e sta a indicare quindi qualcosa che si colloca al di sopra dei nostri geni.
E' un ambito che si occupa delle modifiche stabili apportate al DNA e alle proteine istoniche, le quali influiscono sull'espressione dei geni. Queste modifiche epigenetiche determinano modelli specifici di espressione genica nei vari tessuti e tipi cellulari. Anomalie in tali modelli possono essere la causa di alcune malattie, soprattutto di alcune forme di cancro. È interessante notare che alcuni fattori ambientali possono influenzare l'espressione dei geni all'interno di una cellula senza provocare mutazioni nel genoma, ma piuttosto alterandone i segni epigenetici.
In pratica, le modifiche epigenetiche coinvolgono molecole che si possono unire a specifiche parti del DNA. Queste modifiche, che variano a seconda della tipologia di gene, del tipo di cellula e al passare del tempo, faranno si che un gene venga o meno copiato in un messaggero genetico (RNA) e successivamente tradotto in una proteina. Quest'ultima influenzerà le funzioni del gene stesso.
Dunque, le modifiche epigenetiche nella regolazione dell'espressione dei geni possono portare a cambiamenti nell'aspetto esterno di una cellula, di un tessuto o di un organismo (fenotipo) senza alterare la sequenza di base del DNA (genotipo).
Le variazioni nei modelli epigenetici possono comportare modifiche nell'espressione genica con conseguenti impatti positivi, tra cui la riduzione del rischio di contrarre diverse patologie.
I meccanismi dell’epigenetica
Sono tre i meccanismi più noti attraverso cui l'epigenetica può agire:
la metilazione del DNA, che consiste nell'aggiunta di un gruppo chimico metile al DNA. E' un meccanismo che blocca l'espressione del gene impedendo quindi ad alcune proteine di trascrivere il DNA. Il processo inverso è detto di demetilazione e riattiva il gene.
la modifica degli istoni che delinea l'aggiunta di gruppi chimici agli istoni (le proteine lungo cui si avvolge il filamento di DNA) e non al gene.
l'azione degli RNA non codificanti che non producono proteine ma silenziano gli RNA codificanti non permettendogli di produrne.
L'epigenoma, dunque, è l'insieme delle molecole che rendono possibili questi cambiamenti epigenetici.
Questo, a differenza del genoma, cambia nel corso della nostra vita e si attiva fin dallo sviluppo embrionale in cui cellule con lo stesso DNA si differenziano poiché determinati meccanismi epigenetici inattivano, o attivano, specifici geni.
Le caratteristiche epigenetiche diminuiscono col passare degli anni. E' per questo motivo che l'invecchiamento porta con sé numerose malattie.
Influenze Ambientali e di Lifestyle sull'Epigenoma
Come ho già accennato, le modificazioni epigenetiche cominciano quando ancora ci troviamo nel ventre materno e continuano ad avvenire nel corso della nostra vita anche in risposta a stimoli che arrivano dall'esterno.
Lo stile di vita e l'ambiente che ci circonda sono infatti fondamentali nel determinare la nostra espressione genica: l'inquinamento può modificare gli istoni così come il fumare le sigarette incide sulla metilazione.
Epigenetica e Alimentazione
L'alimentazione può influenzare come i geni sono controllati tramite i meccanismi epigenetici.
Infatti gli alimenti che mangiamo vengono scomposti nel nostro corpo e alcuni dei loro componenti, come i gruppi metile, possono avere un impatto significativo sul controllo dei geni stessi.
La maggior parte delle ricerche che cercano di collegare la dieta alle modifiche epigenetiche si sono concentrate sulla via metabolica del carbonio, in quanto gioca un ruolo cruciale nel fornire sostanze chimiche necessarie sia per la metilazione del DNA che degli istoni.
Sostanze come l'acido folico e le vitamine del gruppo B svolgono un ruolo importante in questo processo poiché contribuiscono alla formazione di questi gruppi metile. Queste modifiche sono associate a cambiamenti nell'espressione genica e nel fenotipo. In effetti, molti alimenti hanno il potenziale per influenzare la chimica della metilazione nel nostro corpo.
Basti pensare che ciò mangia nostra madre durante la gravidanza e ciò che noi consumiamo nei primi anni di vita possono influenzare il nostro profilo epigenetico.
Diete ricche di grassi e l'eccesso di calorie sono state associate a modifiche epigenetiche. In particolare, l'accumulo di grasso corporeo, il grasso addominale e l'aumento di peso negli adulti, così come l'avanzare dell'età, sono alcuni dei fattori che mostrano una diretta correlazione con diversi tipi di tumori.
Esistono prove simili che collegano l'eccesso calorico a malattie legate all'invecchiamento come le malattie cardiache e il diabete di tipo 2.
Gli studi dimostrano quindi che i nostri geni possono essere “spenti” o “accesi” da ciò che mangiamo. Addirittura sembra che l'RNA delle piante possa modificare il nostro! Questa nuova branca di studi prende il nome di nutrigenomica.
Se l'epigenetica rappresenta un punto di incontro tra i geni di una persona e l'ambiente, identificare modi per influenzare questo processo potrebbe offrire l'opportunità di prendere misure preventive e ridurre il rischio di malattie.
Epigenetica e Longevità
L'invecchiamento è un processo inevitabile nella vita, caratterizzato dalla progressiva perdita di funzionalità dei tessuti e degli organi e da un aumento del rischio di mortalità.
Interessante notare che i modelli di metilazione del DNA osservati nell'invecchiamento sono simili a quelli presenti nello sviluppo del cancro.
Ci sono sempre più prove che collegano l'invecchiamento a cambiamenti nei geni e nelle modifiche epigenetiche. Queste modifiche nei modelli epigenetici possono contribuire allo sviluppo di malattie legate all'invecchiamento, come il cancro o al naturale processo dell' invecchiamento stesso.
Data la natura reversibile dei meccanismi epigenetici, esistono strade promettenti per lo sviluppo di terapie farmacologiche o diete che possano aiutare a combattere i segni dell'invecchiamento e le malattie legate all'età.
L'invecchiamento inizia a livello molecolare da una singola cellula e coinvolge cambiamenti come il progressivo accorciamento dei telomeri, la senescenza cellulare e le modifiche epigenetiche, tutti processi che si accumulano nel corso della vita.
Abbiamo visto che le modifiche epigenetiche includono la metilazione del DNA, l'interferenza dell'RNA non codificante e le modifiche delle proteine istoniche. Le sirtuine, una famiglia di enzimi che influenzano il metabolismo cellulare, giocano un ruolo importante nella regolazione di molte funzioni cellulari, come la riparazione del DNA, la risposta infiammatoria e il ciclo cellulare.
C'è una forte connessione tra l'espressione delle sirtuine e il processo di invecchiamento, anche se il rapporto diretto non è stato ancora completamente compreso.
Nel lievito, dove è stata scoperta per la prima volta la proteina Sir2, c'è una correlazione significativa tra l'attività delle sirtuine e il tasso di invecchiamento.
Poiché la maggior parte delle sirtuine viene attivata da una moderata denutrizione, ciò potrebbe spiegare gli effetti benefici della restrizione calorica sulla durata della vita.
Conclusioni
È estremamente interessante l'interazione che esiste tra il nostro patrimonio genetico e l'ambiente in cui viviamo. L'epigenetica sta contribuendo notevolmente alla comprensione di come l'ambiente influenzi il nostro fenotipo e della nostra prole fino alle generazioni future.
L’epigenetica nutrizionale può aiutare a modulare i tratti epigenetici osservati nella progressione di particolari malattie come il cancro. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per distinguere con precisione i modelli epigenetici "salutari" da quelli associati a malattie, il che potrebbe aiutare i medici a diagnosticare le malattie in modo più precoce e specifico.
La ricerca epigenetica ha sicuramente i suoi limiti. Poiché i tratti epigenetici sono specifici sia del tessuto che del tipo di cellula e la maggior parte degli studi sono stati condotti su un singolo tessuto o tipo di linea cellulare (per esempio dai lieviti), è difficile estrapolare i risultati per un organismo complesso. Rispetto ai modelli studiati, gli esseri umani sono esposti a una varietà molto più elevata di fattori ambientali che possono interagire con i geni. Pertanto, determinarne gli effetti epigenetici rappresenta una sfida complessa per i ricercatori.
In futuro, speriamo che l'intervento epigenetico possa essere utilizzato non solo per la prevenzione e il trattamento del cancro, ma anche per altre malattie. Attraverso la ricerca la comunità scientifica potrà sviluppare una migliore comprensione delle caratteristiche epigenetiche ereditarie, del rischio e della progressione nelle malattie e del grado di impatto che determinate esposizioni ambientali possono avere sia sul nostro fenotipo che su quello dei nostri figli.
See you soon! M.
Fonti
Ageing Research Reviews, “Sirtuins, epigenetics and longevity”
Annual Review of Nutrition, “Diet, Nutrition, and Cancer Epigenetics”
Cell, “Epigenetic mechanisms regulating longevity and aging”
Cellular and Molecular Life Sciences, “Metabolism, Longevity and Epigenetics”
Hyman Mark, “Cosa cavolo devo mangiare? Guida completa agli alimenti, tra scienza e falsi miti”
MDPI-International Journal of Molecular Sciences, “From 1957 to Nowadays: A Brief History of Epigenetics”
Molecular Aspects of Medicine, “Epigenetics: the link between nature and nurture”